La delocalizzazione dei grandi gruppi industriali che hanno portato parte degli stabilimenti produttivi all’estero alla ricerca di manodopera a costi più bassi e la naturale difficoltà della manifattura italiana nel trovare spazio sui mercati a basso valore aggiunto hanno forzato la transizione del sistema delle imprese nostrano rendendolo più proattivo nello sviluppo di aziende “leggere” e ormai terra ardua da conquistare per la siderurgia, la metallurgia, la meccanica e la produzione di utensili.
Nonostante i numeri dicano che l’Italia sia ancora la seconda potenza manifatturiera d’Europa e che il prodotto interno lordo venga trainato dalla presenza sui mercati internazionali di aziende attive nel settore delle macchine di impiego generale, della componentistica e del design, il panorama produttivo è composto da un numero non elevato di realtà innovative che in alcuni casi fanno più del 50% del fatturato all’estero e un pullulare di piccole imprese destinate o a fondersi tra di loro, o ad essere acquistate da gruppi di più grandi dimensioni o a ricavarsi un proprio spazio in segmenti di nicchia ad alto valore aggiunto, anche se in questo caso il ciclo di vita sarà breve.
La crisi economica ha però evidenziato due grandi difficoltà del sistema Italia: la difficoltà nell’essere leader nei mercati di massa e l’incapacità di far nascere imprese innovative.
Se il basso tasso di natalità delle aziende è cronico bloccando anche il rinnovo ciclico delle principali realtà industriali fisiologicamente ai tempi e ai contesti esogeni, la bassa propensione dell’italianità a proporre marchi riconoscibili ad un audience di consumatori di ampia platea ( escluse alcune eccezioni nel settore alimentare) ha provocato il declino del paese in un mercato globale sul quale siamo rimasti indietro perdendo l’ultima rivoluzione tecnologica.
Se il digitale, il software, gli apparecchi interconnessi e i servizi al credito faticano ad emergere non è solo colpa della mancanza di investimenti pubblici e dell’incapacità nel reperire risorse private, ma anche ad una più generalizzata ignoranza di una serie di pratiche di pubblicità e marketing che spesso limitano le aziende a zone territoriali microscopiche tagliandole fuori da un mercato nazionale che, pur se a crescita debole, rappresenta uno step indispensabile che molti hanno ancora paura a percorrere.
Società informatiche, mobilifici, produttori di software non connessi all’edizione, aziende agricole ed altre imprese hanno tante potenzialità, ma spesso mancano le risorse e le conoscenze per sfruttarle. Difficile cercare di formare internamente commerciali e analisti di mercato, dispendioso allargare il numero dei dipendenti accollandosi investimenti pesanti che possono pesare sulla liquidità rivolta a lanciare operazioni di ricerca ed azioni di sviluppo tecnologico; meglio affidarsi ad un’agenzia commerciale e di marketing.
Quirino Valentini